VII, 11 (gennaio-giugno 1986)

ARTICOLI:

135) G. SINGH, Il Dante di Pound, pp. 3-18.
Quel che Pound pensava del carattere linguistico, stilistico ed immagistico della poesia di Dante, insieme con certe convinzioni e posizioni etiche e politiche che egli attribuiva a Dante e allo stesso tempo condivideva con lui appassionatamente, costituisce il cosiddetto dantismo poundiano: dantismo che fini coll’influenzare non solo la poesia ma anche la critica dell’artista americano.

136) GABRIELLE BARFOOT, Ezra Pound: Guida alla cultura, pp. 19-26.
Rispetto a quello che aveva scritto in How to Read e in ABC of Reading, Pound, in questo libro, offre qualcosa di più complesso: non più una serie di misure, criteri e voltametri, ma "un insieme eteroclito di impressioni" che gli servono per definire ed individuare la cultura: quella cultura che ci aiuta a creare delle cose "senza fatica ma anche senza fingere".

137) ENZO NOÈ GIRARDI, Considerazioni sull’impiego letterario delle scritture non vigenti, pp. 27-30.
L’A. sostiene con opportuni esempi che la letteratura utilizza di preferenza, come propria materia, forme linguistiche e scritturali "non vigenti", cioè o non ancora in uso, o sorpassate dall’uso, o usate da persone o ceti emarginati. Entro questa prospettiva può essere ricondotta la stessa questione della letteratura popolare o della popolarità nella letteratura.

138) ENZO NOÈ GIRARDI, Per una teoria della traduzione creativa, pp. 31-37.
Dalla cognizione dello sviluppo storico della letteratura intesa come produzione di bellezza col mezzo della scrittura è deducibile una teoria della traduzione creativa, che l’A. qui delinea per sommi capi con esempi tratti da Dante, Caro, Porta e Manzoni.

139) PIOTR SALWA, Il mito di Roma nelle novelle di Giovanni Sercambi, pp. 38-49.
L’autore è docente nell’Università di Varsavia e valente studioso della letteratura italiana dei primi secoli. Partendo dal concetto che nella letteratura "di consumo", cui può ricondursi la novellistica italiana minore, gli interessi contingenti prevalgono su quelli letterari, egli dimostra come il mito medievale di Roma nel Novelliere sercambiano si configuri come "test" della posizione politica dell’autore, interprete dei lucchesi "comuni" in polemica con l’ideologia del "signore", Paolo Guinigi.

140) ADA RUSCHIONI, Tommaso Campanella e la metafisica poetica del Sole, pp. 50-75.
Proseguendo nella sua ricognizione del tema astrale e della poetica della luce nei maggiori poeti italiani, l’A., già nota tra gli specialisti del Campanella per il volume Tommaso Campanella filosofo-poeta, individua nel dialogo La città del Sole e nell’elegia Al Sole i due termini estremi di un itinerario solare che variamente coinvolge in ogni tappa speculazione metafisica e invenzione poetica, a conferma di una condizione rinascimentale che fa della stessa poesia uno strumento di speculazione cosmocentrica.

141) ARNALDO DI BENEDETTO, Ein Heldenleben: l’infanzia e l’immagine dell’uomo nella Vita di Vittorio Alfieri, pp. 76-84.
Nella Vita scritta da esso, l’immagine dell’infanzia e dell’adolescenza è quella di un’età già segnata dai tratti dell’adulto, in cui l’Alfieri si ravvisa compiaciuto o pensoso; ma essa è vista anche come un mondo non autosufficiente e, nel contempo, troppo inconsapevole per costituire oggetto di nostalgia. Pur dopo Rousseau, e pur recando le stigmate dell’"uomo di Rousseau", l’Alfieri resta dunque fedele, nella sua autobiografia, ad una visione modernamente classica dell’uomo.

142) TOM O’ NEILL, Per una lettura dei grandi sonetti del Foscolo, pp. 85-99.
Tom O’Neill è tra i maggiori foscolisti di lingua inglese. Nell’intento di giustificare criticamente la tradizionale distinzione fra i tre "grandi" e gli altri nove sonetti foscoliani, egli mette in luce la presenza in quelli di una poetica dell’"imago" - qualcosa di simile all’eliotiano "correlativo oggettivo" del sentimento individuale che si attuerebbe, meglio che in Alla sera, in A Zacinto e soprattutto nel sonetto In morte del fratello Giovanni.

143) CARLO A. LANDINI, L’Infinito tra artificio retorico e Gestaltpsychologie, pp. 100-108.
L’Infinito leopardiano può definirsi come un riuscitissimo tentativo di poeticizzare una metafora enigmatica, in cui il comparante (il finito) deve far indovinare il comparato (l’infinito) per alcuni elementi comuni ad entrambi, visivi ed auditivi; secondo, quindi, un processo analogo a quello teorizzato dalla Gestaltpsychologie.

 

NOTE:

144) PIER LUIGI CERISOLA, La critica oggi, fra epistemologia ed ermeneutica (Convegno internazionale, Roma 6-7-8 Marzo 1986), pp. 109-112.

145) FLAVIA CRISTOFOLINI, L’italianistica nel Canada, pp. 113-117.

146) GIORGIO BARONI, Carteggi del Settecento, p. 118.

147) GABRIELE CATTINI, Ricordo di Vittorio Imbriani, pp. 119-121.

148) MARIA PAOLA MOSSI, Lingua letteraria e lingua dei media nell’italiano contemporaneo, pp. 122-127.

149) SILVIA NERINI, Mostra su "Futurismo e futurismi" a Venezia, pp. 134-135.

 

RECENSIONI:

150) MICHELA RUSI, Il tempo-dolore, Francisci, Abano Terme 1985 (G.Cattini), p.128.

151) ROCCO CAPOZZI, Bernari tra fantasia e realtà, Società editrice napoletana, Napoli 1984 (G. Cattini), pp.129-130.

152) E. BONEA, A. MARASCO, C.A. AUGIERI, Trittico su Scotellaro, Congedo, Galatina 1985 (V. Giannantonio), pp. 130-131.

153) BRUNO MAIER, Carlo Sgorlon, La Nuova Italia, Firenze 1985 (G. Baroni), pp. 131-133.